Cara Rosa,
il mio “lui” ha 42 anni, ed è sposato da otto.
Ci siamo conosciuti un anno fa a un evento sul design urbano, abbiamo parlato di panchine, di città e di poesia urbana, e da quel giorno ho iniziato a vederlo con occhi diversi.
Da allora abbiamo una relazione, se così si può dire: due giorni fissi a settimana, momenti rubati, messaggi poetici, una complicità che non ho mai provato con nessuno.
Due mesi fa l’ho affrontato, gli ho detto che mi sono innamorata, che avrei voluto passare più tempo insieme, che avremmo dovuto immaginare un “nostro” futuro da coppia.
Lui è stato gentile, ma chiaro: “Tu potrai essere al massimo la mia accompagnatrice, perché io una compagna ce l’ho già.”
Eppure, Rosa, io sento che lui è il mio uomo. Lo conosco. So che un giorno si renderà conto che siamo fatti per stare insieme. Non posso credere che un sentimento così intenso sia destinato a niente.
Sbaglio?
Irene, 34 anni, Roma
«Quando ritornai nella valle del mio essere, portai questo canto e le penne di nove uccelli dalla regione selvaggia, dalla strada del coyote; e dai sette anni in cui vissi nella Città dell’Uomo portai la mia femminilità, la bambina Ekwerkwe, e la mia amica Ombra»
— Ursula K. Le Guin, Sempre la Valle (1985)
«Se non è su Instagram, è mai successo?»
— anonimo marketing intern in pausa caffè
Caro DarkHeron, ho letto il tuo pippone mistico sul “selvaggio‑low‑carb” con grande piacere (giuro!). Poiché la dialettica tiene in vita le sinapsi, eccomi qui a gettare una manciata di selfie‑stick ad alimentare il fuoco del tuo bivacco ascetico.
Il wild è un prodot...
Di tanto in tanto ci stupiamo dell’ottimo umore dimostrato senza dissimulazione dagli anziani, che, per potersi godere la vita, sembrano aver atteso fino alla fine. In qualche modo è ciò che sintetizza lo spesso citato aforisma lapalissiano: «Cinque minuti prima di morire, Monsieur de La Palisse era ancora in vita».
— Marc Augé, Il tempo senza età
Cara Rosa,
non so se sei la persona giusta a cui chiedere consiglio, ma una collega mi ha girato il tuo blog e quindi eccomi.
Mi chiamo Gabriele, ho 45 anni, lavoro in un’azienda editoriale dove si parla tutto il giorno di contenuti che nessuno legge.
Da mesi mi sento attratto da una collega. È più giovane di me, ironica, brillante, con due occhi che ti fulminano mentre parli di log-in e lei ti ascolta come se stessi leggendo un libro di poesie.
Ed io le ho scritto proprio una poesia. Una poesia sulla sua frangetta, ma non gliel’ho mai consegnata. Sì. Sono quel tipo.
Il problema? Sono pelato (non rasato, ma proprio pelato), ho una pancetta resistente come l’editoria tradizionale, e mi vesto come un tizio che ha confuso “normcore” con “disperazione casual”.
Ogni volta che guardo lei, mi chiedo: come posso piacere a una donna così, se nemmeno io mi piaccio quando passo davanti allo specchio dell’ascensore?
Gabriele, 45 anni, Milano
Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi – veda – si crede uno ma non è vero: è tanti, signore, tanti, secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: uno con questo, uno con quello, – diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’essere sempre uno per tutti e sempre quest’uno che ci crediamo in ogni nostro atto.
— Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore