Di tanto in tanto ci stupiamo dell’ottimo umore dimostrato senza dissimulazione dagli anziani, che, per potersi godere la vita, sembrano aver atteso fino alla fine. In qualche modo è ciò che sintetizza lo spesso citato aforisma lapalissiano: «Cinque minuti prima di morire, Monsieur de La Palisse era ancora in vita».
— Marc Augé, Il tempo senza età
Se pensate che Viaggio a Linosa sia una guida turistica con consigli su dove mangiare il cous cous sull’isola o avvistare le tartarughe caretta caretta… siete fuori strada. Se invece immaginate due uomini sulla soglia della terza età – che poi è una soglia che si fa corridoio, poi anticamera, poi tutto l’appartamento – allora ci siete quasi.
Il libro di Sergio Toscano non è un diario di viaggio, ma un trattato in forma di racconto, una lunga camminata filosofica (ma con le scarpe buone) tra memoria, acciacchi, supermercati, tram, gabbiani e un’umanità minore ma non minima. Un’umanità ostinata, sottilmente stralunata, attraversata da quella forma altissima di resistenza che è la consuetudine.
Qui l’eroismo è minimo, ma lucidissimo.
Qui il vicino di casa diventa coprotagonista assoluto, figura ieratica che, pur essendo un ex marito abbandonato, ex impiegato senza rimpianti, quasi-filosofo domestico, discute con lo stesso impegno di testamenti, panchine e gabbiani. Fa tutto con l’aplomb di chi sa che “la terza età non è una forma di devianza sociale”, ma nemmeno una fiction Rai con commoventi lieto fine.
Toscano scrive come chi ha letto molto e osservato di più. Ha il tono di un notaio lirico: preciso, ironico, ogni tanto spietato. Non ci sono sconti: la città, i tram, i giovani che ignorano Dio nei tostapane, gli anziani che osservano l’universo dal terrazzo condominiale e i tentativi falliti di fondare una comune urbana – tutto è raccontato con una lucidità che rasenta la beatitudine mistica, ma con un calice di vino in mano.
C’è la Palermo che si rifà il trucco e si scrolla di dosso i quartieri bui di vent’anni fa. Ma sotto quel trucco, nei suoi interstizi – parola giusta, perché Viaggio a Linosa è un romanzo fatto di fessure – vivono ancora questi anziani resistenti, questi personaggi che non sono mai completamente usciti dai propri appartamenti, ma che hanno visto il mondo. A volte in tv, a volte in sogno, a volte davvero.
Carlo Belli, con i suoi disegni sobri e visionari, accompagna il testo come una colonna sonora disegnata: come se Rothko e Sciascia avessero fatto insieme un album illustrato sul concetto di sparizione.
E Linosa?
Linosa è una metafora del viaggio, e il viaggio è metafora della vita. Linosa è la luce intermittente del faro che annuncia la fine del nostro viaggio l’ineluttabile epilogo.
Questo libro andrebbe letto lentamente, con il ritmo di un tram in salita, o di un anziano che torna a casa con la sporta piena di ricordi e un po’ di pane fresco. Non è per tutti: è per quelli che si fermano alle vetrine senza comprar nulla, per quelli che leggono i bugiardini e i necrologi, per quelli che hanno capito che anche Dio, in fondo, fa quel che può.
Già, eppure fa sorridere.
Un sorriso sobrio, gentile, un po’ scettico. Il sorriso di chi non si è ancora lasciato fregare del tutto.