«Se non è su Instagram, è mai successo?»
— anonimo marketing intern in pausa caffè
Caro DarkHeron, ho letto il tuo pippone mistico sul “selvaggio‑low‑carb” con grande piacere (giuro!). Poiché la dialettica tiene in vita le sinapsi, eccomi qui a gettare una manciata di selfie‑stick ad alimentare il fuoco del tuo bivacco ascetico.
Il wild è un prodotto? Amen.
Sì, certo che lo è. Come il gorgonzola DOP, la trap latina e la carta igienica triplo‑velo. Il capitalismo digerisce tutto: Che Guevara finisce sulle cover degli iPhone, figuriamoci il Grand Paradis. Finger‑pointing inutile: se compri scarponi Vibram made in Vietnam per «ritrovare te stesso», stai già contribuendo al circo.
Non-luogo, sentenzia Augé. Ma augé‑nche‑no! Il turista‑medio che tu snobbi paga il tuo rifugio, la cabinovia che ti risparmia mille metri di discesa a ginocchia sfinite e — colpo di scena — il sentiero CAI fresato dai volontari. Lo “zaino minimal” funziona solo se milioni di altri umani si affollano altrove.
Due morti in dieci anni non sono un badge di autenticità, sono due funerali di troppo. Se volete la frontiera letale, fatevi spedire su Marte con Elon Musk (economy class). Intanto, lasciate che gli elicotteri dell’Alaska si occupino di rottami tossici.
Se la montagna ti sembra un parco giochi, forse lo è — e va bene così: il gioco è una cosa seria (lo diceva Bruno Munari, non un copy di agenzia). Prendila per quel che è: una giostra alpina con vista sublime e Wi‑Fi altalenante.
Vai, goditi il selvaggio di plastica, fallo tuo, poi — se vuoi — stacca la connessione e perditi davvero. Ma non dare la colpa a chi preferisce la pista battuta: magari è l’unico giorno libero che ha.
Firmato, con immutato affetto
Odorizio Fotter