Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi – veda – si crede uno ma non è vero: è tanti, signore, tanti, secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: uno con questo, uno con quello, – diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’essere sempre uno per tutti e sempre quest’uno che ci crediamo in ogni nostro atto.
— Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore
Avete mai sentito parlare di Niccolò Errante?
Scrittore schivo, autore di racconti misteriosi e di errori volontari, morto suicida il 3 giugno 2025 mentre l’Italia scorreva verso l’estate senza sapere che stava perdendo uno dei suoi autori più enigmatici.
Peccato che… non sia mai esistito.
Già, Niccolò Errante è una trovata editoriale. O meglio: un esperimento letterario, un’idea narrativa, una beffa gentile ordita da Stefano Bartezzaghi e Pier Mauro Tamburini nel loro libro Bozze non corrette (Mondadori). Un gioco a incastri: manoscritti imperfetti, correzioni di bozze, note a margine, errori intenzionali e messaggi segreti — come se Umberto Eco ci avesse dato i compiti delle vacanze da correggere a settembre con la matita rossa e blu.
Il lettore è invitato a smascherare l’enigma, inseguendo le orme di questo autore-fantasma. E, ovviamente, a perdersi nel labirinto delle ipotesi. Perché il punto non è sapere se Niccolò Errante sia reale, ma chiedersi cosa voglia dire oggi “essere uno scrittore”. Basta un nome? Una biografia su misura? Una serie di refusi geniali?
In un’epoca in cui le AI pubblicano romanzi in solitaria e i ghostwriter diventano brand, forse Errante è il più sincero di tutti. Lui non esiste.
Date un occhio all’immagine di Niccolò Errante che campeggia sul sito Mondadori e che presenta tutti i tratti tipici di un’immagine generata dall’AI e quell’aria sofferta da autore di manuale di scrittura creativa.
Un ritratto. E i ritratti possono mentire. O raccontare storie, fate voi.
Ecco, avete guardato bene? Quegli ombrelli da spiaggia che sembrano un paesaggio di De Chirico, il bicchiere in primo piano e qualcosa che non torna. Il suo avambraccio destro scompare dietro il bicchiere come se fosse stato… cancellato?
Difetto tecnico? Svista? O un ulteriore messaggio? Forse Errante non ha bisogno di un braccio destro. Forse non ce l’ha mai avuto. Come ogni personaggio fittizio, è costruito solo fino a un certo punto. Il resto lo deve inventare il lettore.
Un autore monco, ma non di parole. Al contrario: pieno di segni. E ogni mancanza, come ogni errore, è parte della scrittura.
D’altra parte, il cognome “Errante” non è scelto a caso. Anzi, è un rebus dentro il rebus.
Riecheggia volutamente il nome di altri autori, famosi. Ma allo stesso tempo è un verbo sostantivato: è chi erra. E qui il gioco è doppio, degno del miglior Bartezzaghi. Errante è colui che commette errori (come i testi pieni di refusi lasciati apposta), ma anche chi si muove senza meta, un autore-nomade, che non si lascia afferrare, e infine, una figura da letteratura romantica: il viandante, l’artista che si perde per cercare.
Un nome, insomma, che tematizza l’errore e l’errare come possibilità narrativa. L’errore non come sbaglio, ma come esercizio di volontà, un’apertura attraverso cui si dispiegano le strade sconosciute di un racconto.